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White, dalla Nigeria all’Italia per raggiungere la ‘terra promessa’

La storia di un giovane richiedente asilo che ha viaggiato in mare tre giorni e che ha lasciato il suo Paese a causa di conflitti politici e religiosi

pubblicato il 25/06/2010
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White, dalla Nigeria all’Italia per raggiungere la ‘terra promessa’

La storia di un giovane richiedente asilo che ha viaggiato in mare tre giorni e che ha lasciato il suo Paese a causa di conflitti politici e religiosi

Lawrence White ha cantato sotto le stelle. Ha cantato e pregato che il suo viaggio della speranza andasse bene. Un viaggio durato tre giorni a bordo di una carretta di mare, una di quelle barche che attraversano il Mediterraneo per portare i migranti dalla Libia in Italia. Migranti che scappano dai loro Paesi per sfuggire a guerre, fame, persecuzioni. Come White, 25 anni e gli occhi grandi come il sorriso che riesce ancora a regalare a chi gli chiede di raccontare un po’ della sua storia, di quello che ha vissuto.

White: Sono andato via dal mio Paese perché avevo problemi di tipo politico e ho visto molti dei miei amici arrestati. Ho lasciato la Nigeria a causa di problemi politici. Sono andato via perché molti dei miei amici venivano arrestati e rischiavo di essere arrestato anch’io. Quindi sono dovuto partire

Ma White ha lasciato la Nigeria anche per motivi religiosi: lo scontro tra cristiani e musulmani che ha provocato numerose vittime. White è cristiano e non nasconde la sua fede. Anzi, è proprio in Dio e nella preghiera che trova la forza di andare avanti. Anche se durante il viaggio ha toccato da vicino la sofferenza.

White: E’ un’esperienza che non auguro a nessuno. Il viaggio è stato molto difficile. Molti ragazzi non ce l’hanno fatta. Le condizioni della barca erano inumane. E avevamo tanti problemi. La pelle si screpolava sotto al sole. Io ho pianto spesso sulla barca perché la gente moriva mentre parlavo ed io non potevo fare niente.

Durante il viaggio sulla barca White ha pensato sempre alla madre. Di lei non ha più notizie da quando è arrivato in Libia, da quando gli hanno separati.

White: Pensavo a mia madre. Ma soprattutto al fatto che potevo morire e la mia famiglia era lontana. La mia prima speranza era per loro, anche se in realtà non sapevo neanche se mia madre fosse ancora viva. Vedendo i miei amici morire non potevo fare altro che pregare per la mia anima e tentare di sopravvivere. Non sapevamo ove eravamo e dove stavamo andando.

Poi lo sbarco a Lampedusa, in Italia e la speranza di essere arrivato in ‘Paradisio’, di non avere più problemi.

White: Sì, pensavo di essere arrivato in Paradiso e che tutti i problemi fossero finiti. In realtà, ne sorsero di nuovi, ma immaginavo che con l’arrivo in Italia sarei stato felice. Per me era come la terra promessa. Così ce l’avevano descritta. Nessuno poteva immaginare il ripresentarsi di situazioni già vissute. Era una situazione paradossale: volevano da noi dei documenti, volevano sapere se eravamo qui per lavorare, se avevamo un lavoro. Ma non avevamo nulla di tutto ciò. Il rischio allora era di tornare indietro. E noi non volevamo assolutamente tornare indietro.

Ma da Lampedusa lo hanno mandato al Centro d’Accoglienza per richiedenti Asilo di Borgo Mezzanone. E qui che White ha presentato la domanda come richiedente asilo politico.

White: Sono rimasto molto sorpreso perché indipendentemente da quello che dicevamo, la Commissione ha dato alla maggior parte di noi una risposta negativa. E ciò significava per noi il prefigurarsi la condizione di irregolari, in quanto non avendo soldi, lavoro e tutto ciò che serve per avere il permesso di soggiorno e soprattutto un avvocato, non potevamo ricevere e godere di nessuna forma di assistenza e servizi. Il problema era che non avevo nessuno a cui far riferimento o su cui poggiarmi, non avevo familiari. Sembrava che il mio passato, il mio vissuto fossero irrilevanti al fine di poter essere legalmente accolto. E questo era un problema.

E adesso cosa stai facendo?

White: E adesso è un problema. Non ho soldi, non posso pagare l’avvocato, non ho dove dormire, non ho una casa. Ho pochi amici e molti di loro sono anche ripartiti. Insomma, ho molti problemi.

Intanto White coltiva il suo talento, il dono ricevuto in cambio della dura prova che ha dovuto affrontare. E compone, scrive canzoni, melodie. Testi che hanno il compito di raccontare agli altri la sua storia.

White: La maggior parte degli italiani non conosce i problemi che abbiamo avuto nel deserto, nel mare e tutto ciò che abbiamo passato. In molte delle mie canzoni parlo del mio vissuto perché questa è una necessità che sento dentro di me. Io ho molti sogni. La cosa che mi piacerebbe fare è poter cantare ovunque vada. Ma adesso penso a mia madre perché non so dove sia. Dove è? Come sta? Vorrei rivederla. Vorrei che un giorno riuscissimo a ricongiungerci.














 
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